Lo Stile

Liutai Italiani del Novecento nelle collezioni del Museo del Violino

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La carriera di Giuseppe Fiorini copre un arco di tempo dal 1870 al 1934, 64 anni di attività che possono comprendere il suo apprendistato col padre Raffaele (il suo primo violino completo è del 1876), ed il periodo di malattia (1925-1934), in cui le sue opere si fanno via via più rade e non sempre sono eseguite interamente da lui.
Fino al 1881 circa, l’influenza della liuteria paterna è molto evidente e si riscontra l’uso della forma esterna, importato dalla Francia. Da giovane Giuseppe si cimenta spesso nella copia antichizzata dei classici più in voga, ma progressivamente, dal suo periodo monacense in poi, si avvicina sempre più allo stile classico stradivariano, con l’uso prevalente della forma interna e di controfasce in salice, e progressivamente abbandona l’idea dello strumento antichizzato, come lui spiegherà in seguito.
Pur avendo nutrito un vero culto per Paganini, considerato il massimo virtuoso del violino, Fiorini non è mai stato particolarmente attratto dai modelli di Guarneri “del Gesù”, prediligendo la precisione esecutiva e le proporzioni chiare ed armoniche. Gli anni ’20 sono considerati il suo periodo d’oro (Zurigo e Roma), dove è chiarissima la magia suscitata in lui dalle forme originali stradivariane, in particolare la forma P, ma già dalla fine dell’800 costruisce strumenti che nulla hanno da invidiare alle realizzazioni della maturità.
La scelta sempre straordinaria dei materiali e l’applicazione di un preciso metodo per il controllo della qualità gli permettono di realizzare veri capolavori ai quali il tempo ora sta dando pienamente ragione. La lezione di Stradivari, tuttavia, non ha impedito a Giuseppe di esprimersi con viva originalità che ben affiora da ogni tratto delle sue libere interpretazioni classiche e rivela l’orgogliosa consapevolezza delle origini bolognesi.

 (testo di Roberto Regazzi)